



«Le culture sono da sempre atmosferiche, cioè hanno sempre dovuto investire, simbolizzare, significare, addomesticare, abitare, sacralizzare, rendere sicura la propria esposizione al tempo atmosferico come relazione fondante, intima e soprattutto molto dinamica con i cicli d’acqua, la stagionalità produttiva o i rischi di eventi estremi; e oggi siamo ancor più atmosferici dal momento che concorriamo all’alterazione dei suoi cicli di carbonio e alle dinamiche di surriscaldamento. E quindi il tempo emerge, in questa nuova emergenza, spaventandoci, e si mostra come una invasione aliena di qualcosa che invece è stato storicamente molto familiare.»
In questa prospettiva l’antropologia può aiutare a riscoprire come le culture siano sempre state “radicate per aria attraverso riti, simboli, sistemi produttivi e saperi locali” e dare nuove parole e metafore per comprendere la crisi climatica come questione culturale, avvicinando l’idea di natura, esclusa dalla società occidentale come campo “silente e a disposizione”.